Pubblicazione dell’avv. Giuseppe Coppola sul portale online de Il Sole 24 Ore —— Quella del rilascio del permesso di costruire è una delle questioni più annose del diritto Amministrativo ed in tal senso è di particolare pregio la problematica sul risarcimento dei danni conseguenti ad un illegittimo ritardo o diniego del predetto rilascio del permesso di costruire.
Al riguardo, la più recente giurisprudenza amministrativa ha precisato che quando un’Amministrazione non si pronuncia in tempo sull’istanza di permesso di costruire il privato può maturare il risarcimento dei danni a condizione che dimostri sia la correlazione tra il ritardo e il danno subìto, sia la fondatezza della sua pretesa al rilascio del permesso di costruire, nonché l’eventuale colpa o dolo dell’Amministrazione procedente in conformità all’art. 2 bis della L. 241/90, che prevede che la P.A. è tenuta al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
Dunque il risarcimento del danno da ritardo risulta ammissibile se il danneggiato prova: 1) la violazione dei termini procedimentali; 2) il dolo o la colpa dell’amministrazione; 3) il nesso di causalità materiale o strutturale; 4) il danno ingiusto, inteso come lesione dell’interesse legittimo al rispetto dei predetti termini.
Per il profilo di cui si discute è meritevole di attenzione anche il principio giurisprudenziale secondo cui la perdita della potenzialità edificatoria dell’area ad opera di un illegittimo provvedimento di diniego del titolo abilitativo configura un danno ingiusto, ammesso alla tutela risarcitoria per equivalente, in quanto la sola tutela di annullamento non è sufficiente ad assicurare la reintegrazione della situazione giuridica soggettiva del privato, laddove la sopravvenuta disciplina urbanistica renda impossibile il rilascio di un provvedimento conforme all’originaria istanza.
Dal canto suo la P.A. per far valere la legittimità del suo operato dovrebbe opporre quali fatti ostativi od impeditivi concreti avrebbero potuto ridimensionare la pretesa edificatoria del privato.
In questi casi vale, dunque, il principio giurisprudenziale secondo cui nel giudizio diretto a ottenere la condanna della P. A. al risarcimento del danno che derivi da un provvedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi a invocare l’illegittimità di carattere sostanziale dell’atto quale indice presuntivo della colpa, dato che rimane a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile derivante da contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma o dalla complessità dei fatti, ovvero ancora dal comportamento delle parti del procedimento. Al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo non è dunque richiesto un impegno probatorio particolare per dimostrare la colpa dell’Amministrazione, potendo egli limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto e dovendosi fare applicazione, ai fini della prova dell’elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’art. 2727 del cod. civ. (così, da ultimo, Cons. Stato Sez. VI, Sent. n. 1061 del 19 febbraio 2018).
Quindi se la P.A. mediante l’adozione colposa di un provvedimento illegittimo cagiona al privato un danno non più riparabile mediante riedizione del potere amministrativo, fa sorgere in favore del cittadino il risarcimento del danno per equivalente monetario.
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